Il miracolo sotto lo sguardo dello storico: Un’analisi a partire dall’agnosticismo metodologico

Introduzione: Il dilemma dello storico di fronte al miracoloso

Il cuore del cristianesimo è un paradosso per lo storico. Le fonti fondanti di questa religione, i Vangeli, si presentano come biografie di una figura storica, Gesù di Nazaret, eppure le loro narrazioni sono intrise di resoconti di eventi che sfidano le normali categorie della spiegazione storica: guarigioni istantanee, esorcismi, controllo sulle forze della natura e persino la risurrezione dai morti. Questo intreccio inestricabile tra il resoconto storico e l’affermazione miracolosa crea una profonda crisi metodologica. Come può lo storico, il cui mestiere si fonda sull’analisi di cause ed effetti all’interno di un quadro di intelligibilità umana, affrontare testi che postulano costantemente l’irruzione del trascendente? La tentazione è duplice e speculare: da un lato, l’accettazione fideistica che pone le narrazioni al di fuori del vaglio critico; dall’altro, il rigetto aprioristico che le liquida come pure invenzioni, perdendo così l’opportunità di comprendere il fenomeno storico nella sua complessità.

Il presente articolo si propone di esplorare succintamente questo difficile terreno adottando come principio guida quell’agnosticismo metodologico che costituisce la spina dorsale del metodo storiografico. Questo approccio non è un mero scetticismo né indecisione, ma una disciplina intellettuale rigorosa e duplice.

Il primo aspetto dell’agnosticismo metodologico è la sospensione del giudizio nei confronti del soprannaturale. Lo storico, in quanto storico, ammette la propria incompetenza a pronunciarsi sulla causalità divina, riconoscendo i limiti intrinseci della propria disciplina di fronte a ciò che trascende l’indagine empirica. Il compito dello storico non è verificare o falsificare il “miracolo” in senso teologico, ma analizzare criticamente il resoconto storico del presunto miracolo, le sue origini, la sua trasmissione e la sua funzione.

Il secondo aspetto dell’agnosticismo metodologico è la sospensione del giudizio nei confronti del naturalismo dogmatico. Questo approccio resiste all’assunzione a priori che la nostra comprensione della realtà, per dirsi razionale, debba essere legata inscindibilmente all’esistenza di inviolabili leggi naturali. Sfida l’applicazione dogmatica del naturalismo metodologico, una prassi che liquiderebbe automaticamente come falsa ogni testimonianza di eventi anomali. Al contrario, l’agnosticismo metodologico rimane empiricamente aperto alla possibilità che il mondo contenga fenomeni — ciò che lo studioso Dale C. Allison definisce il “metanormale” — che non sono ancora compresi dalla scienza (e che forse non lo saranno mai), ma che non sono per questo necessariamente “soprannaturali”.

Questo articolo argomenterà che lo studio storico dei miracoli di Gesù si è evoluto attraverso fasi distinte: da un progetto razionalista di “spiegazione” a un progetto ermeneutico di “interpretazione” e, infine, a un progetto contestuale di “comprensione”. In questo contesto, quindi, l’agnosticismo metodologico rappresenta il culmine più intellettualmente rigoroso e storicamente produttivo di questa evoluzione, consentendo allo storico di analizzare l’intero spettro della testimonianza evangelica senza formulare pretese ontologiche premature, sia teistiche che naturalistiche.

Parte I: Il miracolo come problema storiografico

L’Illuminismo e la gestione razionalista dei miracoli

La moderna indagine storica sui miracoli evangelici nasce da una rottura filosofica. Tra il XVII e il XVIII secolo, il pensiero europeo, in particolare il deismo inglese, forgiò il clima intellettuale che rese il miracolo non solo storicamente problematico, ma filosoficamente insostenibile. Dio, infatti, cominciò ad essere concepito come “ultrapotente orologiaio” che aveva creato il mondo come un “perfetto meccanismo” che, una volta avviato, non necessitava più di interventi divini. Questa visione del mondo ebbe conseguenze dirette e devastanti per l’accettazione letterale dei vangeli.

La sfida deista

I pensatori deisti furono i primi a sistematizzare un attacco razionalista al soprannaturale biblico. John Toland, nel suo Il cristianesimo non è misterioso, sostenne che la fede non può concernere ciò che supera la ragione, implicando la necessità di “purificare” l’immagine di Gesù da elementi fantastici per ridurlo a un predicatore di morale. Thomas Woolston andò oltre, analizzando sistematicamente i racconti dei miracoli e bollandoli come “assurdi, incredibili e immorali”. La sua strategia consisteva nel mettere in ridicolo le narrazioni, paragonando Gesù a figure come Apollonio di Tiana e dichiarando la risurrezione “la più evidente impostura della storia umana”. Questi attacchi stabilirono un presupposto fondamentale: i resoconti di miracoli sono, per loro natura, storicamente inattendibili e devono essere spiegati come errori o inganni.

I primi approcci storico-critici

Fu in Germania che questa sfida filosofica si tradusse nei primi tentativi di un’analisi storica dei Vangeli. Questi primi approcci, pur diversi nelle conclusioni, condividevano un medesimo presupposto: la spiegazione storica deve essere una spiegazione naturale.

Hermann Samuel Reimarus può essere considerato il fondatore della ricerca moderna del Gesù storico. La sua opera, pubblicata postuma, tracciava una netta distinzione tra il Gesù della storia — un devoto ebreo, predicatore morale con ambizioni messianiche politiche — e il Cristo della fede. Secondo Reimarus, i miracoli, così come la risurrezione, non facevano parte del ministero del vero Gesù, ma erano elementi di un’impostura deliberata ordita dagli apostoli dopo la sua morte per mantenere il potere e il prestigio acquisiti. La sua era quindi una “teoria della frode”: la causa “naturale” dietro il racconto “soprannaturale” è l’inganno umano.

Heinrich Eberhard Gottlob Paulus propose un’alternativa che, pur rimanendo strettamente razionalista, salvava l’onestà degli evangelisti. Egli riteneva i vangeli fondamentalmente affidabili come resoconti di eventi reali, ma sosteneva che tali eventi fossero stati fraintesi e interpretati in chiave miracolosa. Questa è la “teoria del fraintendimento”. Per Paulus, Gesù non risuscitò mai dei morti, ma rianimò persone in stato comatoso; non camminò sulle acque, ma su una sporgenza di roccia nascosta dalla nebbia; non moltiplicò i pani, ma ispirò un atto di condivisione collettiva. La causa “naturale” qui non è l’inganno, ma l’errata percezione di un evento ordinario.

Questi primi approcci, sebbene oggi appaiano ingenui, furono di importanza capitale. Essi rappresentano la nascita, in forma pratica, del naturalismo metodologico applicato agli studi biblici. Stabilirono il paradigma secondo cui il compito dello storico di fronte a un resoconto miracoloso non è investigare la possibilità dell’evento, ma scoprire la causa naturale che ha dato origine al resoconto. La domanda storica fondamentale divenne: “Cosa è realmente accaduto?”, dove l’avverbio “realmente” implicava quanto era possibile fosse accaduto “all’interno di un sistema chiuso di causa ed effetto naturale”. Questa è la radice di quella che Allison chiama “la tradizione accademica dell’incredulità”, un presupposto che dominerà la ricerca per i due secoli successivi.

La svolta ermeneutica: il miracolo come mito e kerygma

La fase successiva della ricerca rappresentò una svolta fondamentale. Anziché continuare a cercare una spiegazione naturale per l’evento dietro il testo, gli studiosi iniziarono a concentrarsi sul testo stesso come oggetto primario dell’indagine storica. Il miracolo cessò di essere un problema di fisica per diventare un problema di ermeneutica.

L’interpretazione mitica di David Friedrich Strauss

David Friedrich Strauss segnò un punto di non ritorno. Nella sua Vita di Gesù (1835), egli respinse come goffe e implausibili sia la teoria della frode di Reimarus sia le spiegazioni razionalistiche di Paulus. La sua proposta fu rivoluzionaria: i racconti di miracoli non sono né storia falsificata né storia fraintesa. Semplicemente, non sono affatto storia. Sono miti.

Per Strauss, il mito non è una menzogna, ma una forma di narrazione poetica e pre-riflessiva attraverso cui una comunità esprime le sue più profonde convinzioni teologiche. I primi cristiani, convinti che Gesù fosse il Messia, rivestirono la sua biografia di racconti che incarnavano questa fede, spesso attingendo a modelli e motivi dell’Antico Testamento. Così, la storia della moltiplicazione dei pani non è il resoconto di un evento, ma l’espressione narrativa dell’idea che Gesù è il pane della vita; la pesca miracolosa non è un fatto di cronaca, ma una drammatizzazione della promessa di rendere i discepoli “pescatori di uomini”. Con Strauss, l’oggetto dell’analisi storica si sposta dall’evento al testo. La domanda non è più “È successo?”, ma “Perché questa storia è stata raccontata? Cosa significa?”. Lo storico diventa un critico letterario e uno storico delle idee.

Rudolf Bultmann e la demitizzazione

Rudolf Bultmann, nel XX secolo, radicalizzò l’approccio di Strauss, integrandolo con gli strumenti della “storia delle forme” (Formgeschichte) e con la filosofia esistenzialista. Per Bultmann, i vangeli non sono biografie, ma raccolte di pericopi, vale a dire unità letterarie tradizionali (detti, parabole, storie di miracoli) che circolavano oralmente e venivano modellate dalle necessità delle prime comunità cristiane.

Le storie di miracoli, in particolare, appartengono a una “visione del mondo mitica” (un universo a tre piani con cielo, terra e inferi, popolato da angeli e demoni) che è diventata intellettualmente insostenibile per l’uomo moderno. Cercare di razionalizzarle, come faceva Paulus, è un’operazione assurda. Il compito dello storico e del teologo non è salvare la storicità del miracolo, ma demitizzare il testo. Questo significa spogliare il racconto del suo involucro mitologico per estrarne il nucleo esistenziale, il kerygma: la proclamazione che interpella l’ascoltatore e lo chiama a una decisione di fede. Pur ammettendo che Gesù avesse compiuto atti percepiti come guarigioni, Bultmann li ricondusse a cause psicosomatiche, rimanendo saldamente all’interno di un quadro naturalistico e considerando i miracoli sulla natura come leggende di derivazione ellenistica.

La svolta ermeneutica di Strauss e Bultmann fu un progresso metodologico importante. Permise agli storici di lavorare in modo produttivo con i racconti di miracoli, analizzandone la teologia, la funzione comunitaria e la genesi letteraria, senza rimanere intrappolati nell’insolubile questione ontologica della loro fattualità. Tuttavia, questo risultato fu ottenuto al prezzo di escludere quasi completamente la possibilità che dietro a questi racconti potesse celarsi una memoria storica genuina di un evento anomalo. La storicità fu sacrificata sull’altare dell’ermeneutica.

La Terza Ricerca: ricontestualizzare il Gesù taumaturgo

A partire dagli anni ’80 del XX secolo, la cosiddetta “Terza Ricerca del Gesù storico” ha segnato un parziale superamento dello scetticismo bultmanniano. Caratterizzata da un rinnovato interesse per il contesto giudaico del I secolo e da una maggiore fiducia nella possibilità di estrarre dati storici dai vangeli, questa fase della ricerca ha riconsiderato seriamente la figura di Gesù come operatore di miracoli, non per affermarne la natura soprannaturale, ma per comprenderne il ruolo storico e sociale.

Ritratti chiave del taumaturgo

Diversi studiosi hanno proposto modelli interpretativi per inquadrare l’attività taumaturgica di Gesù all’interno del suo mondo.

  • Geza Vermes ha proposto di vedere Gesù come un hasid galileo, un “uomo santo” carismatico, analogo ad altre figure del giudaismo palestinese come Hanina ben Dosa o Honi il disegnatore di cerchi, noti per la loro pietà e la loro capacità di operare prodigi attraverso la preghiera. In questa prospettiva, la fama di Gesù come operatore di miracoli non è un’invenzione successiva, ma un dato storicamente plausibile perché si inserisce in una tipologia socio-religiosa riconoscibile del suo tempo e del suo luogo.
  • John P. Meier, attraverso un’applicazione estremamente rigorosa dei criteri di storicità (imbarazzo, discontinuità, attestazione multipla, etc.), giunge alla conclusione che la reputazione di Gesù come guaritore ed esorcista è un solido e inattaccabile del suo ministero. Meier è disposto ad accettare un nucleo storico per specifici episodi di guarigione (come quella di Bartimeo), ma rimane profondamente scettico riguardo ai miracoli sulla natura, che considera quasi interamente creazioni teologiche della Chiesa primitiva. Il suo approccio rappresenta un tentativo di recuperare la storicità dell’evento miracoloso su basi critiche, distinguendo nettamente tra categorie di miracoli più o meno plausibili.
  • John Dominic Crossan interpreta le guarigioni di Gesù non in chiave soprannaturale, ma come parte integrante del suo programma sociale di egualitarismo radicale. In una società ossessionata dalla purezza rituale, la malattia era spesso vista come un segno di impurità che emarginava l’individuo. Guarendo i malati e toccando gli impuri, Gesù non compiva un atto magico, ma un gesto politico e sociale: sfidava le gerarchie di purezza e reintegrava gli emarginati nella comunità. Il “miracolo” è la restaurazione della commensalità e della dignità sociale.

Questi approcci, pur divergenti, condividono un tratto comune: prendono sul serio la tradizione di Gesù come taumaturgo e cercano di spiegarla storicamente, contestualizzandola nel mondo sociale, religioso e politico del giudaismo del I secolo.

Tabella: Evoluzione degli approcci storiografici ai miracoli

La seguente tabella riassume l’evoluzione delle principali scuole di pensiero, evidenziando il cambiamento nella metodologia e nelle conclusioni.

Scuola/Pensatore Principio/Metodo Fondamentale Trattamento dei Miracoli Esempio Tipico
Deismo/ Razionalismo (Paulus) Naturalismo Metodologico (Dogmatico) Gli eventi sono fenomeni naturali percepiti erroneamente. Risurrezione da uno stato di coma.
Scuola Mitica (Strauss) Analisi Letteraria/Mitologica Le storie sono miti non storici che esprimono idee teologiche. La moltiplicazione dei pani come mito basato sul tema del “pane della vita”.
Critica delle Forme (Bultmann) Demitizzazione Le storie appartengono a una visione del mondo obsoleta; si deve estrarre il kerygma. Le guarigioni sono probabilmente psicosomatiche; i miracoli sulla natura sono leggende ellenistiche.
Terza Ricerca (Vermes, Meier) Contestualizzazione Socio-Storica La reputazione di taumaturgo è storica. Guarigioni/esorcismi hanno un nucleo storico; i miracoli sulla natura probabilmente no. Gesù come hasid; la guarigione di Bartimeo come evento storico.

Oltre il binomio: agnosticismo metodologico e il “metanormale”

L’evoluzione della ricerca ha portato a un’impasse. Da un lato, lo scetticismo radicale di Bultmann sembra gettare via il bambino con l’acqua sporca, ignorando la pervasività della tradizione taumaturgica. Dall’altro, gli approcci della Terza Ricerca, pur recuperando la storicità della fama di Gesù, spesso si fermano sulla soglia dell’evento stesso, ricorrendo a spiegazioni psicosomatiche o sociali che non sempre rendono giustizia alla natura dei racconti. È in questo contesto che l’approccio di Dale C. Allison offre una via d’uscita, proponendo un agnosticismo metodologico più coerente.

Critica alla “tradizione accademica dell’incredulità”

Allison muove una critica fondamentale al presupposto non dichiarato che sottende gran parte della storiografia moderna: il naturalismo dogmatico. Egli sostiene che il rigetto sistematico di tutti i resoconti di miracoli non è una conclusione storica basata sull’evidenza, ma un pregiudizio filosofico ereditato dall’Illuminismo. La “tradizione dell’incredulità” non è il risultato di un’indagine, ma il suo punto di partenza.

Il principio di analogia riesaminato

Il perno di questa incredulità è il principio di analogia, formulato da Ernst Troeltsch, secondo cui possiamo giudicare la probabilità di un evento passato solo in analogia con ciò che accade regolarmente nel presente. L’applicazione tradizionale di questo principio è stata: poiché oggi non assistiamo a miracoli (intesi come violazioni delle leggi naturali), non possiamo accettare che siano accaduti in passato.

Allison sovverte questo ragionamento. Egli sostiene che il “presente” a cui dovremmo fare appello è molto più strano e complesso di quanto gli scettici ammettano. Esiste un’enorme mole di testimonianze transculturali e transtemporali di fenomeni anomali o “metanormali”: telepatia, chiaroveggenza, precognizione, guarigioni inspiegabili, apparizioni luminose. Se questi fenomeni, per quanto rari e non compresi, fanno parte dell’esperienza umana attestata, allora, in base allo stesso principio di analogia, non possiamo escludere a priori che eventi simili siano accaduti nel passato e siano stati registrati nelle nostre fonti.

Il “metanormale”

Questa linea di pensiero conduce Allison a proporre una terza via che trascende il binomio “intervento soprannaturale” vs. “spiegazione naturalistica”. Egli ipotizza che alcuni eventi riportati come miracoli si configurino come esperienze genuine e anomale che rientrano nella categoria del metanormale o preternaturale. Si tratterebbe di capacità umane o fenomeni naturali rari e criptici, che superano i limiti della normale operatività psichica ma che non sono necessariamente “magici” o “soprannaturali” in senso teologico.

Questa non è una tesi teologica, ma un’ipotesi empirica, basata sullo studio della parapsicologia, della storia delle religioni e dell’antropologia. Questo approccio permette allo storico di rimanere agnostico sulla causa ultima (divina o di altra natura), pur prendendo sul serio la testimonianza di un evento insolito. Lo storico può riconoscere una “meraviglia” (un evento inspiegabile) senza doverla definire un “miracolo” (un atto di Dio).

Dai singoli eventi ai modelli ricorrenti

Un corollario metodologico di questa posizione è lo spostamento dell’attenzione dall’autenticazione di singoli eventi all’analisi di modelli ricorrenti (recurrent patterns) attraverso tutti gli strati delle fonti (Q, Marco, Matteo, Luca, Giovanni). Tentare di dimostrare la storicità di una singola storia di miracolo è spesso un’impresa destinata al fallimento. È più produttivo, secondo Allison, osservare i motivi che si ripetono. Per esempio, il tema di Gesù che possiede una conoscenza chiaroveggente (conoscere i pensieri delle persone, prevedere eventi futuri) è un modello che attraversa diverse fonti indipendenti. Il compito dello storico è spiegare l’esistenza di questo modello. La spiegazione più economica potrebbe essere che questo modello rifletta un aspetto genuino di come Gesù era percepito dai suoi seguaci, una percezione forse radicata in esperienze reali della sua insolita capacità di intuizione.

L’approccio di Allison rivela la vera portata dell’agnosticismo. Un agnosticismo metodologico coerente deve essere agnostico non solo riguardo a Dio, ma anche riguardo alla presunta completezza del naturalismo scientifico. Costringe lo storico a confrontarsi con l’intera gamma della testimonianza umana, anche quando è strana, scomoda o inspiegabile, invece di scartarla sulla base di una visione del mondo preconcetta. La domanda non è più “Questo è possibile?”, ma “Cosa ci dice questa testimonianza sulla percezione e l’esperienza degli attori storici?”. Si tratta di un profondo cambiamento di postura intellettuale, che privilegia l’analisi empirica della testimonianza rispetto al giudizio ontologico.

Parte II: Un caso di studio particolare: I miracoli sulla natura

Se le guarigioni e gli esorcismi possono, con vari gradi di difficoltà, essere ricondotti a spiegazioni psicosomatiche, sociali o persino “metanormali”, i cosiddetti miracoli sulla natura rappresentano la sfida ultima per l’indagine storica. Camminare sulle acque, sedare una tempesta con una parola, moltiplicare pani e pesci: questi racconti sembrano descrivere non solo la guarigione di un corpo, ma la sospensione delle leggi fondamentali della natura.

La sfida ultima all’indagine storica

I miracoli sulla natura costituiscono un problema qualitativamente diverso. A differenza delle guarigioni, non possono essere facilmente accomodati da spiegazioni psicologiche. La loro natura intrinseca — un’apparente violazione di principi fisici basilari — li rende estremamente difficili da accettare come resoconti di eventi storici, anche per gli studiosi più aperti.

Il consenso accademico, come delineato da Meier, è che queste storie siano quasi certamente costruzioni letterario-teologiche, piuttosto che resoconti storici. Vengono spesso interpretate come narrazioni cristologiche modellate su teofanie dell’Antico Testamento. Ad esempio, la sedazione della tempesta riecheggia il potere di Dio sul caos primordiale e sul mare (Salmo 107), mentre la moltiplicazione dei pani evoca la manna nel deserto e presenta Gesù come il nuovo Mosè.

Inoltre, la base testimoniale per questi miracoli è significativamente più debole rispetto a quella per le guarigioni. Il metodo di Allison basato sull’attestazione ricorrente qui vacilla. Mentre il motivo del “guaritore” o del “chiaroveggente” è pervasivo, eventi come camminare sull’acqua o trasformare l’acqua in vino sono episodi isolati, non parte di un modello ampio e ricorrente. Anche gli analoghi nell’esperienza umana più ampia, a cui Allison fa appello per il “metanormale”, sono estremamente rari e molto meno attestati rispetto a fenomeni come l’apparente telepatia o le guarigioni anomale.

Un caso emblematico di questa complessità è rappresentato dai racconti di risuscitamento, che si collocano in una zona d’ombra tra i miracoli sulle persone (come le guarigioni, per le quali è più plausibile ipotizzare un nucleo storico) e i miracoli sulla natura (storicamente più dubbi). L’approccio dello storico, fedele al principio di analogia, varia a seconda del racconto specifico. Il risuscitamento di Lazzaro, narrato solo in Giovanni, con la sua enfasi su un uomo morto da quattro giorni, appare allo storico come un “segno” letterario, un culmine teologico del potere di Gesù sulla morte, rendendo difficile ipotizzare un evento storico sottostante nella forma presentata. Al contrario, il caso della figlia di Giairo nei sinottici offre uno spiraglio interpretativo. L’affermazione di Gesù “non è morta, ma dorme”, pur avendo un significato teologico nel Vangelo, permette allo storico di formulare un’ipotesi basata sulla plausibilità: la fanciulla poteva trovarsi in uno stato di coma o morte apparente. Un risveglio da tale stato, per quanto eccezionale, non è senza analogie nell’esperienza umana verificabile. In questo scenario, l’intervento di Gesù si configurerebbe come un’azione taumaturgica estrema, una guarigione eccezionale che i testimoni avrebbero interpretato e tramandato come una risuscitamento vero e proprio.

Una valutazione agnostica dei miracoli sulla natura

Come si avvicina un agnosticismo metodologico a questi racconti “estremi”? Il processo non consiste in un rigetto aprioristico, ma in una valutazione probabilistica basata sull’evidenza.

Lo storico non afferma: “Gesù non ha camminato sull’acqua perché è impossibile”. Questa sarebbe una dichiarazione ontologica che viola i limiti della disciplina. Invece, l’analisi procede come segue: “La fonte riporta che Gesù ha camminato sull’acqua. Tuttavia, l’analisi letteraria mostra che questo racconto è fortemente condizionato da motivi teologici (ad es. la teofania) e serve a uno scopo cristologico preciso. Inoltre, applicando il principio di analogia, troviamo che analoghi credibili e ben attestati per un tale evento nell’esperienza umana più ampia sono praticamente inesistenti”.

Data la debolezza delle prove storiche e analogiche, la spiegazione più parsimoniosa e storicamente responsabile è che l’origine di questi racconti sia primariamente letteraria e teologica. La loro funzione non è cronachistica, ma catechetica e cristologica. Essi non ci informano su un evento specifico della vita di Gesù, ma sulla fede della comunità primitiva nella sua identità divina e nel suo potere cosmico.

La posizione finale dello storico è quindi agnostica riguardo a ciò che è ontologicamente possibile, ma assertiva riguardo a ciò che è storicamente probabile. La probabilità che i resoconti dei miracoli sulla natura riflettano eventi storici è estremamente bassa, mentre la probabilità che siano narrazioni teologiche è estremamente alta. Questa conclusione non è una violazione dell’agnosticismo, ma il risultato della sua applicazione critica e rigorosa. Lo storico sospende il giudizio sulla possibilità del miracolo, ma emette un giudizio sulla probabilità della testimonianza.

Conclusione: Lo storico come agnostico di professione

Il percorso della storiografia di fronte ai miracoli di Gesù è stato lungo e tortuoso. È passato dal progetto razionalista di smascherare l’inganno o l’errore (Paulus, Reimarus), alla svolta ermeneutica che ha trasformato il miracolo in un testo da interpretare (Strauss, Bultmann), fino al progetto contestuale della Terza Ricerca che ha cercato di comprendere la funzione sociale del Gesù taumaturgo (Vermes, Meier).

L’approccio delineato in questo articolo, basato sull’agnosticismo metodologico, rappresenta la fase più matura di questa evoluzione. Evita il dogmatismo sia della fede che dello scetticismo naturalista. Permette allo storico di impegnarsi con la piena complessità delle fonti, riconoscendo che il mondo antico era un luogo in cui esperienze anomale venivano riportate e credute, senza per questo dover abbandonare il rigore critico.

Il ruolo dello storico, in ultima analisi, non è quello di essere un guardiano della realtà, che decide cosa può o non può accadere. È quello di essere un analista critico della testimonianza. Concentrandosi sui modelli di percezione e sulla funzione delle storie, e rimanendo aperto all’intera, spesso strana, gamma dell’esperienza umana attestata, lo storico può offrire un resoconto ricco e sfumato del Gesù operatore di miracoli e del movimento che è scaturito dalla sua memoria. Questo può essere fatto senza trasgredire i limiti propri della disciplina storica, perché il verdetto finale non è sul miracolo in sé, ma sulla testimonianza che lo riguarda. L’agnosticismo non è una capitolazione di fronte al mistero, ma lo strumento più affilato per navigarlo con integrità intellettuale.

Bibliografia essenziale

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Vermes, G. (1983) Gesù l’ebreo. Roma: Borla.

Virgili, A. (2022) Sulle Tracce del Nazareno: Introduzione al Gesù storico. Palermo: Phronesis.

Posted by Adriano Virgili

4 comments

Analisi illuminante sul concetto di miracolo e sulla sua interpretazione nel corso della storia. Io sono propenso a non interpretare come interventi divini i fenomeni che non sono compresi dalla scienza, e che forse come lei dice non lo saranno mai. Questi interventi “divini” spiccioli mi paiono troppo legati ad una visione antropomorfa della religione. Nello stesso tempo, riconosco che il miracolo più grande Dio l’ha fatto nella creazione della Natura, della Vita, dell’Universo. Mi è difficile interpretare questa creazione come un caso, o come una necessità: mi pare invece un atto di volontà grandioso, un atto di Amore, se vogliamo, il più grande possibile. In questa contraddizione, seguo con interesse le varie fasi della interpretazioni dei miracoli, che lei ha così bene delineato.

Buongiorno, ho letto il confronto con Choam Goldberg ed avrei voluto dare la mia esperienza, ma ho notato che non è più possibile commentare. Siccome ci ho messo un po’ ad elaborare il mio testo vorrei condividerlo ugualmente pertanto lo metto qui:

In mezzo a tutte le discussioni sulla teodicea — il tentativo di giustificare la presenza del male in un mondo creato da un Dio buono — mi sono trovato a riflettere da un punto di vista personale, attraversando il mio percorso dal cristianesimo all’ateismo e nella mia esperienza – prima da credente cristiano e poi da ateo – posso solo dire questo:

Perché spiegare il mondo attraverso il Dio abramitico? Un essere umano, normalmente intelligente, guardandosi un minimo attorno, non si accorge forse che esistono culture diverse, religioni diverse, racconti diversi?
Perché proprio quella storia, quel Dio, quel linguaggio dovrebbe essere il vero, l’unico, il definitivo?
E poi: davvero Dio manda sé stesso sotto forma di essere umano per portare un messaggio? A chi? E perché proprio in quel momento? Ci sono davvero differenze tra la venuta di Gesù e tutto ciò che c’era in precedenza?

Il fatto che una idea si sia diffusa così ampiamente non la rende automaticamente vera. Come ben sappiamo è la narrazione che in un modo o nell’altro ha resistito di più. Io la chiamo “la favola migliore”.

A volte paragono la mia precedente esperienza a quella di un uomo che attraverso la finestra viene illuminato da una luce bianca e conosce solo quella. Ma poi rifiutando il dogma del “non aprirla, perché intanto la luce ti arriva”, sono andato alla finestra ed aprendola ho osservato altro, ho constatato gli altri colori che compongono la luce bianca. Tenere la finestra chiusa era comodo, confortante, piacevole, ma relegato ad una situazione limitata.

E da qui il senso di libertà che, difficile da comprendere, non significa assolutamente fare solo i propri interessi. Libertà è sentirsi di scegliere in autonomia e non aver paura di camminare da soli, senza che un divino ci guidi o ci giudichi.
I cristiani, i credenti fedeli ad una divinità regolatrice sono realmente liberi? Possono sperimentare davvero l’autodeterminazione? A me non sembra. Provate a far a meno di dio. Vi verrà il panico.

Tutto questo suona come una favola affascinante, ma piena di contraddizioni. Una costruzione che si sfalda sotto il peso del ragionamento.

Ma le favole piacciono. Sono comode. Ci proteggono. Ci danno un senso.
Altrimenti ci troveremmo nudi, indifesi, abbandonati. E allora si cercano giustificazioni.

Io guardo alla vita. Alla realtà concreta. E mi chiedo: nel quotidiano, dove vedo la traccia del sacro? Dove si manifesta davvero questa presenza? Perché dovrei sforzarmi di tenere insieme il dolore del mondo con un’idea di bene divino?
Perché giustificare l’ingiustificabile con la scusa del “mistero della fede” e vivere continuamente in questo mistero?
Perché credere in un “padre” misterioso? Solo perché è un padre ed avrà i suoi motivi? Sarebbe bello conoscerli, oppure devo sospendere il giudizio? Verso un padre infinitamente buono? Ripeto devo vivere alla cieca solo perché è imperscrutabile?

No. Io non sono un automa.
Osservo. Sento. Vivo. E faccio esperienza. Senza delegare il mio pensiero a nessun altro. Escludo il dualismo bene/male con l’osservazione diretta degli eventi, che svuoto di significato per osservarli e non dargli accezioni dolorose.
Strano a capirlo, ma ciò mi permette di godere appieno delle altre componenti della vita. Non ho paura di quello che accadrà, perché sarà solo un evento fine a se stesso che mi permetterà di crescere emotivamente.

Questa visione non mi dà risposte preconfezionate: mi invita ad abitare il presente, a guardare dentro di me, a vivere la realtà così com’è.
Non parla di dogmi ma di cause e condizioni. Di consapevolezza, non di obbedienza.
È un pensiero che non ha bisogno di “salvezza”, ma di lucidità.
Non è fede cieca: è pratica, presenza, contatto diretto con la vita.

E allora mi chiedo: cosa cerchiamo davvero, noi esseri umani?
Forse solo pace. Serenità. Una vita più semplice, con meno rotture possibili.
Se qualcuno ha trovato questo attraverso Dio, buon per lui. Ma non si può pretendere che sia così per tutti.

Io, da quando ho lasciato andare l’idea di Dio così come viene raccontata dalle religioni abramitiche, ho trovato una chiarezza nuova.
E con essa, una serenità profonda.
Non più spiegazioni astratte, ma presenza. Non più paura del giudizio divino, ma ascolto del mondo interiore.

Siamo nati e vissuti in occidente, immersi in un certo modo di pensare.
Ma se fossimo nati altrove? In una cultura senza il dualismo bene/male?
Senza l’idea di peccato, di colpa, di espiazione?

Guardandomi attorno, mi rendo conto che non ho bisogno di Dio per dare senso a ciò che vedo.
La realtà non ha bisogno di intermediari.
E questo pensiero è talmente forte dentro di me che sento il bisogno di condividerlo.
Non per convincere, ma per testimoniare.

Perché oggi posso dire, con lucidità:
non mi serve che mi diciate come vivere.
Io vivo. E basta.

Adriano Virgili

Ho chiuso i commenti sotto l’altro articolo per evitare a entrambi la tentazione di procrastinare una discussione che abbiamo convenuto essere sterile. Ho approvato questo commento per rispetto all’impegno profuso nello scriverlo, ma non tollererò altri commenti che non hanno nulla a che vedere con un articolo che tratta un argomento completamente diverso, e anche piuttosto complesso, afferente a quella che la mia area specifica di specializzazione accademica.

Capisco perfettamente, grazie per la pubblicazione.

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