«Babilonia» nella Prima lettera di Pietro: un’analisi storico-esegetica dell’identificazione con Roma

Introduzione: un enigma geografico e il suo peso storico

Alla chiusura di uno degli scritti più pastoralmente intensi del Nuovo Testamento, la Prima lettera di Pietro, si trova un saluto apparentemente semplice che ha però costituito per secoli un complesso enigma esegetico: «Vi saluta la comunità che è in Babilonia, eletta come voi, e Marco, mio figlio» (1 Pt 5,13). Questa singola menzione di “Babilonia” come luogo di origine della lettera ha polarizzato la discussione accademica, dando vita a due principali filoni interpretativi. Il primo, letteralista, suggerisce che l’autore si trovasse effettivamente nella Babilonia storica in Mesopotamia, o in un omonimo avamposto militare in Egitto. Il secondo, simbolico, sostiene che “Babilonia” sia un criptonimo, un nome in codice per la città di Roma, capitale dell’Impero.

Sebbene l’opzione letterale non sia priva di una sua logica superficiale, essa si scontra con una quasi totale assenza di prove a supporto. Al contrario, un’analisi approfondita basata sulla convergenza di indizi provenienti da discipline diverse – la storiografia patristica, l’esegesi letteraria, l’analisi del linguaggio simbolico dell’epoca e la ricostruzione storica – ha portato la schiacciante maggioranza dei ricercatori moderni a identificare con un alto grado di certezza la Babilonia petrina con la capitale dell’Impero. Questo articolo si propone di esplorare in modo succinto le ragioni di tale consenso, dimostrando come l’ipotesi romana non sia semplicemente la più probabile, ma l’unica in grado di rendere conto in modo coerente di tutti i dati a nostra disposizione. A complicare e, al contempo, arricchire il quadro, si aggiunge la fondamentale questione dell’autenticità della lettera: fu davvero l’apostolo Pietro a scriverla, o si tratta di un’opera pseudepigrafa? Come vedremo, questa domanda, lungi dal rendere la questione irrisolvibile, getta una luce ulteriore e decisiva sull’enigma di “Babilonia”.

Le alternative in campo: l’insostenibilità dell’ipotesi letterale

Prima di esaminare le prove a favore di Roma, è necessario analizzare la fragilità delle ipotesi alternative. La più discussa è senza dubbio quella della Babilonia mesopotamica. I suoi sostenitori argomentano, non a torto, che nel I secolo d.C. la regione ospitava una delle più grandi e vitali comunità ebraiche della diaspora, risalente all’esilio del VI secolo a.C. Lo storico Flavio Giuseppe, ad esempio, testimonia la sua importanza demografica e culturale. In quest’ottica, si ipotizza che Pietro, in qualità di “apostolo dei circoncisi” (Gal 2,8), avrebbe potuto logicamente estendere la sua missione a questa importante enclave giudaica.

Tuttavia, questa costruzione, per quanto plausibile in astratto, si rivela storicamente insostenibile. L’ostacolo più grande è un invalicabile “argomento dal silenzio”. Nelle prime comunità cristiane, la memoria dei luoghi di predicazione e, soprattutto, di martirio degli apostoli principali era un patrimonio prezioso, custodito e tramandato con cura. Esistono tradizioni, per quanto talvolta leggendarie, sulla missione di Tommaso in India, di Giovanni a Efeso, di Marco ad Alessandria. Eppure, come sottolinea la quasi totalità degli studiosi moderni, «non esiste alcuna tradizione cristiana, fonte letteraria, o leggenda che colleghi in qualche modo l’apostolo Pietro, o i suoi compagni Marco e Silvano, alla Babilonia sull’Eufrate» (Ehrman, 2008, p. 99). Tutta la tradizione successiva, a partire dalla fine del I secolo, punta inequivocabilmente e unanimemente in un’unica direzione per l’ultima fase della vita di Pietro: Roma. Il silenzio totale su una missione mesopotamica non è un’assenza neutra, ma un’evidenza negativa fortissima.

Un’altra ipotesi letterale, ancora più debole, identifica la località con un forte militare romano chiamato Babilonia, situato in Egitto, vicino all’odierno Cairo. Questa opzione, tuttavia, ha ancora meno frecce al suo arco. Si trattava di un presidio militare di secondaria importanza, privo di una significativa comunità ebraica (concentrata soprattutto ad Alessandria) e, ancora una volta, totalmente assente da qualsiasi tradizione legata alla missione petrina. Karl Hermann Schelkle (1981), nel suo commentario, la elenca tra le possibilità teoriche ma la scarta rapidamente per la sua implausibilità storica. In assenza di qualsiasi prova esterna, l’ipotesi letterale, in entrambe le sue varianti, rimane una pura speculazione basata su una lettura decontestualizzata del toponimo.

La questione dell’autore: pseudepigrafia e le sue implicazioni

Un nodo fondamentale per l’interpretazione di 1 Pietro è la questione della sua paternità. Se da un lato la lettera si apre con una chiara auto-attribuzione («Pietro, apostolo di Gesù Cristo»), dall’altro molti studiosi moderni avanzano seri dubbi sulla sua autenticità, suggerendo che si tratti di un’opera pseudepigrafa, scritta cioè da un discepolo o da un membro della “scuola petrina” verso la fine del I secolo (ca. 80-95). Le ragioni a sostegno di questa tesi sono principalmente di natura linguistica e teologica:

  • La qualità del greco: La lingua della lettera è un greco colto, elegante e stilisticamente elaborato, con un ricco vocabolario e una sintassi complessa. Molti studiosi ritengono improbabile che tale livello di raffinatezza letteraria potesse appartenere a un pescatore galileo la cui lingua madre era l’aramaico. Sebbene la menzione di Silvano come scriba (5,12) possa spiegare questa qualità, alcuni vedono in essa un artificio letterario tipico della pseudepigrafia per conferire verosimiglianza all’opera.
  • La teologia della lettera: Il pensiero teologico di 1 Pietro sembra riflettere una fase matura del cristianesimo primitivo. L’autore mostra una notevole familiarità con la tradizione paolina (specialmente con le lettere ai Romani e agli Efesini), che integra armonicamente con temi tipicamente petrini. Questa sintesi, secondo alcuni, suggerisce un’epoca successiva a quella dei due apostoli, in cui un autore di seconda generazione poteva attingere e rielaborare il loro insegnamento. Gilberto Marconi (2000, p. 7), ad esempio, la definisce opera di un «Autore anonimo, con buona probabilità esponente di spicco del gruppo dei cristiani residenti a Roma, intorno all’ultimo decennio del I secolo».

Questa discussione ha un’implicazione diretta e potente sulla questione di “Babilonia”. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’ipotesi pseudepigrafa, lungi dal rendere l’identificazione con Roma più debole, la rafforza enormemente. Se la lettera fu scritta da un discepolo della scuola petrina a Roma verso la fine del I secolo, la scelta di “Babilonia” diventa una mossa letteraria e teologica carica di significato. Un autore che scriveva in quella città, decenni dopo il martirio di Pietro sotto Nerone, avrebbe avuto tutte le ragioni per:

  1. Ancorare l’opera alla tradizione del martirio: Usare “Babilonia” come nome in codice per Roma significava collocare retroattivamente la voce autorevole del maestro nella città del suo martirio, la capitale del potere che lo aveva messo a morte.
  2. Rafforzare l’autorità della chiesa di Roma: Firmare la lettera con il nome di Pietro da “Babilonia” (Roma) serviva a consolidare l’eredità petrina della comunità romana, presentandola come la custode del suo insegnamento.
  3. Rendere il messaggio più potente: Il simbolo di Babilonia, in un’epoca di persecuzioni (come quelle sotto Domiziano), avrebbe risuonato con forza tra i destinatari, collegando le loro sofferenze a quelle del principe degli apostoli nella capitale dell’impero ostile.

In questo scenario, “Babilonia” non è solo un dato geografico nascosto, ma una scelta teologica e strategica che lega indissolubilmente il messaggio della lettera alla città di Roma e alla memoria del martirio di Pietro.

Le prove convergenti: perché Roma?

Che l’autore sia Pietro stesso (con Silvano come scriba) o un discepolo della sua scuola, le prove che puntano a Roma come luogo di origine (reale o simbolico) della lettera sono schiaccianti e provengono da più direzioni.

La memoria più antica: la testimonianza patristica

Come già accennato, l’identificazione di Babilonia con Roma è attestata in modo sorprendentemente precoce. La fonte principale è lo storico Eusebio di Cesarea, che riporta una tradizione risalente a Papia di Gerapoli e Clemente di Alessandria. Eusebio scrive: «E si dice che Pietro faccia menzione di Marco nella sua prima lettera, che si dice anche abbia composto nella stessa Roma, e che lo indichi egli stesso, chiamando la città, metaforicamente, Babilonia» (Storia Ecclesiastica, II, 15, 2). La testimonianza di Papia (ca. 110-130) è importante perché ci riporta a una memoria quasi contemporanea ai fatti. Questa non era un’opinione isolata. A fine II secolo, Ireneo di Lione (Contro le Eresie, III, 1, 1) e Tertulliano di Cartagine confermano la predicazione e il martirio di Pietro a Roma. Tertulliano scrive con enfasi: «Quanto è felice quella Chiesa alla quale gli apostoli hanno donato tutta la loro dottrina insieme col loro sangue!» (De praescriptione haereticorum, 36), riferendosi esplicitamente a Roma.

Il linguaggio del potere: “Babilonia” come simbolo

L’uso di “Babilonia” come nome in codice per Roma era un’immagine diffusa e potente nella letteratura giudaica del tempo. Specie dopo la distruzione del Secondo Tempio nel 70 d.C., l’analogia tra Roma e l’antica Babilonia divenne immediata e potente. Come scrive Joachim Gnilka (2003, p. 109), «L’appellativo dispregiativo di Babilonia per Roma era corrente… Roma era considerata il centro del potere ostile a Dio. In questo senso essa era la Babilonia escatologica». Questa identificazione simbolica è ben attestata in opere come gli Oracoli Sibillini (libro V, 143, 159), il Quarto libro di Esdra e l’Apocalisse di Baruc. Inserita in questo contesto culturale, la menzione di Babilonia in 1 Pietro appare tutt’altro che strana; è, al contrario, un riferimento culturale e teologico immediatamente riconoscibile dai suoi primi lettori.

Coerenza interna: teologia dell’esilio e indizi prosopografici

Gli indizi più convincenti provengono dall’analisi interna della lettera stessa. La Prima lettera di Pietro è, nella sua essenza, una “lettera dell’esilio”. Si apre con un indirizzo esplicito «agli eletti che vivono come stranieri nella diaspora (διασπορά) del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia» (1 Pt 1,1). L’intero scritto è costruito sull’identità dei credenti come “stranieri e pellegrini” (2,11). La menzione finale di “Babilonia” è la chiave di volta di questa cornice teologica. Paul J. Achtemeier (1996), nel suo autorevole commentario, spiega come la lettera utilizzi l’esperienza dell’esilio di Israele come modello per comprendere la condizione cristiana. In quest’ottica, la menzione di Babilonia è il culmine di questa teologia, identificando la capitale dell’impero come il luogo per eccellenza della prova e della testimonianza.

A questo si aggiunge l’elemento prosopografico, un vero e proprio puzzle umano la cui unica soluzione plausibile è Roma. La menzione congiunta di Pietro, Marco e Silvano punta in modo quasi inequivocabile alla capitale.

  • Pietro e Marco: Come già visto, la tradizione che lega Marco a Pietro come suo “interprete” (ἑρμηνευτής) a Roma è antichissima e solidissima. Markus Bockmuehl (2017, p. 134) la definisce «una delle più antiche e meglio attestate tradizioni della chiesa primitiva».
  • Marco a Roma: La sua presenza a Roma è attestata indipendentemente anche da Colossesi 4,10 e Filemone 24, dove Paolo, scrivendo dalla sua prigionia romana, menziona Marco come suo collaboratore.
  • Silvano: La figura di Silvano (il Sila degli Atti) rafforza ulteriormente il quadro. Egli era un cittadino romano (At 16,37), una figura di spicco della chiesa di Gerusalemme e un compagno di missione di Paolo. La sua presenza a Roma, crocevia dell’Impero e centro nevralgico della missione cristiana, è del tutto logica e verosimile.

L’ipotesi romana, quindi, permette di collocare tutti i pezzi del puzzle in modo coerente. Qualsiasi altra ipotesi costringe a creare scenari storici privi di qualsiasi fondamento documentale.

Conclusione: oltre l’enigma, la certezza morale

L’identificazione della Babilonia di 1 Pietro 5,13 con Roma non è un dogma, ma il risultato di un rigoroso processo storico-critico. È la conclusione che si impone quando si lascia che le prove parlino da sole, in un quadro di convergenza che unisce la memoria più antica della Chiesa, l’analisi del linguaggio simbolico dell’epoca, la coerenza teologica interna della lettera e l’evidenza prosopografica. La discussione sulla pseudepigrafia, lungi dall’indebolire questa conclusione, la cementa: che sia stato Pietro a dettare la lettera a Silvano prima del suo martirio, o un suo discepolo a scriverla a Roma in sua vece per onorarne la memoria, il punto di riferimento geografico, storico e teologico rimane la capitale dell’Impero. Comprendere questo dettaglio non è un mero esercizio accademico; significa cogliere la profonda urgenza del messaggio della lettera: un appello alla speranza, alla santità e alla perseveranza, rivolto a una comunità dispersa da parte di chi condivide la sua stessa condizione di esilio, testimoniando la fede proprio dal cuore della “Babilonia” del suo tempo.


Bibliografia

  • Achtemeier, P.J., 1996. La Prima Lettera di Pietro: Commento storico esegetico. Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana.
  • Bockmuehl, M., 2017. Simon Pietro nella Scrittura e nella memoria: L’apostolo nella chiesa antica. Torino: Claudiana.
  • Ehrman, B.D., 2008. Pietro, Paolo e Maria Maddalena: Storia e leggenda dei primi seguaci di Gesù. Milano: Mondadori.
  • Gianotto, C., 2018. Pietro: Il primo degli apostoli. Bologna: Il Mulino.
  • Gnilka, J., 2003. Pietro e Roma: La figura di Pietro nei primi due secoli. Brescia: Paideia Editrice.
  • Marconi, G., 2000. Prima lettera di Pietro. Roma: Città Nuova.
  • Nicolaci, M., 2016. Prima lettera di Pietro: Introduzione, traduzione e commento. Cinisello Balsamo: San Paolo.
  • Schelkle, K.H., 1981. Le lettere di Pietro. La lettera di Giuda. Brescia: Paideia Editrice.

 

Posted by Adriano Virgili

Lascia un commento