In un panorama intellettuale spesso dominato da un riduzionismo scientista che sembra aver relegato la metafisica classica a un mero reperto archeologico del pensiero, l’opera di Robert C. Koons, “Is St. Thomas’s Aristotelian Philosophy of Nature Obsolete?”, emerge con la forza di un vero e proprio manifesto filosofico. Questo volume, pubblicato da St. Augustine’s Press nel 2022, non è semplicemente una difesa nostalgica di un sistema di pensiero superato; è un’argomentazione audace, rigorosa e straordinariamente aggiornata che si propone di dimostrare non solo la pertinenza, ma la necessità di una filosofia della natura neo-aristotelica per comprendere le scoperte più profonde della scienza contemporanea, in particolare della meccanica quantistica. L’opera di Koons è un contributo monumentale, destinato a diventare un punto di riferimento imprescindibile per chiunque desideri esplorare il dialogo tra scienza, filosofia e teologia nel ventunesimo secolo. La sua tesi centrale è tanto sorprendente quanto potentemente argomentata: la rivoluzione quantistica, lungi dall’aver inferto il colpo di grazia alla filosofia aristotelico-tomista, ne rappresenta, di fatto, una straordinaria e inattesa rivincita.
Continue reading →Fede e ragione. Cronache di un ritorno a casa intellettuale
Introduzione: la filosofia come anticamera della fede
In un panorama accademico in cui, specialmente nei dipartimenti di filosofia, l’ateismo, il naturalismo e il fisicalismo rappresentano le correnti di pensiero dominanti, la pubblicazione di un’opera come Faith and Reason: Philosophers Explain Their Turn to Catholicism costituisce un evento di notevole interesse intellettuale. Il testo in esame, curato da Brian Besong e Jonathan Fuqua, non è una semplice raccolta di testimonianze di fede, ma un’articolata esplorazione del percorso che ha condotto dieci filosofi professionisti, formati al rigore della logica e dell’argomentazione, ad abbracciare la fede cattolica. Il contesto, come sottolineato da Besong nella sua introduzione, rende queste conversioni tutt’altro che aneddotiche; esse emergono come il punto d’arrivo di un’intensa e spesso sofferta ricerca della verità in un ambiente intellettuale prevalentemente ostile alla religione.
Il volume si apre con una prefazione di Francis J. Beckwith che inquadra magistralmente la natura stessa della conversione. Lungi dall’essere un atto di volontà istantaneo o un “salto nel buio”, il cambiamento di convinzioni profonde è descritto come un processo lento e graduale, un susseguirsi di “piccoli e apparentemente insignificanti cambiamenti” che portano a un “aggiustamento intellettuale”. Questo cammino, pur essendo eminentemente razionale, è percepito dai protagonisti non come un monologo della ragione, ma come un dialogo in cui la ricerca umana della verità si intreccia con l’iniziativa di quella che chiamano una “speciale grazia divina”. La toccante storia personale di Beckwith, legata alla malattia del padre e alla scoperta di una medaglia di sant’Antonio che questi portava segretamente con sé, funge da paradigma di questa misteriosa interazione tra l’ordinario e lo straordinario, tra l’evento casuale e il segno provvidenziale.
Questo articolo si propone di analizzare come, per gli autori del volume, il rigoroso esercizio della ragione filosofica, lungi dal condurre allo scetticismo o alla negazione, sia diventato il principale veicolo del loro cammino verso la fede cattolica. Si esploreranno sia i percorsi “negativi”, caratterizzati dal crollo di visioni del mondo alternative come il materialismo e il protestantesimo, sia i percorsi “positivi”, segnati da una crescente attrazione per la coerenza, la bellezza e il potere esplicativo del cattolicesimo.
Continue reading →«Babilonia» nella Prima lettera di Pietro: un’analisi storico-esegetica dell’identificazione con Roma
Introduzione: un enigma geografico e il suo peso storico
Alla chiusura di uno degli scritti più pastoralmente intensi del Nuovo Testamento, la Prima lettera di Pietro, si trova un saluto apparentemente semplice che ha però costituito per secoli un complesso enigma esegetico: «Vi saluta la comunità che è in Babilonia, eletta come voi, e Marco, mio figlio» (1 Pt 5,13). Questa singola menzione di “Babilonia” come luogo di origine della lettera ha polarizzato la discussione accademica, dando vita a due principali filoni interpretativi. Il primo, letteralista, suggerisce che l’autore si trovasse effettivamente nella Babilonia storica in Mesopotamia, o in un omonimo avamposto militare in Egitto. Il secondo, simbolico, sostiene che “Babilonia” sia un criptonimo, un nome in codice per la città di Roma, capitale dell’Impero.
Sebbene l’opzione letterale non sia priva di una sua logica superficiale, essa si scontra con una quasi totale assenza di prove a supporto. Al contrario, un’analisi approfondita basata sulla convergenza di indizi provenienti da discipline diverse – la storiografia patristica, l’esegesi letteraria, l’analisi del linguaggio simbolico dell’epoca e la ricostruzione storica – ha portato la schiacciante maggioranza dei ricercatori moderni a identificare con un alto grado di certezza la Babilonia petrina con la capitale dell’Impero. Questo articolo si propone di esplorare in modo succinto le ragioni di tale consenso, dimostrando come l’ipotesi romana non sia semplicemente la più probabile, ma l’unica in grado di rendere conto in modo coerente di tutti i dati a nostra disposizione. A complicare e, al contempo, arricchire il quadro, si aggiunge la fondamentale questione dell’autenticità della lettera: fu davvero l’apostolo Pietro a scriverla, o si tratta di un’opera pseudepigrafa? Come vedremo, questa domanda, lungi dal rendere la questione irrisolvibile, getta una luce ulteriore e decisiva sull’enigma di “Babilonia”.
Continue reading →Il Battista e l’Architetto: un’analisi della venerazione massonica di San Giovanni e del conflitto secolare con la Chiesa cattolica
La fondazione del 1717: una convergenza di data, simbolo e intento
La nascita della massoneria moderna: la taverna “Goose and Gridiron”
L’atto che segna la nascita della massoneria moderna, o “speculativa”, ebbe luogo a Londra il 24 giugno 1717, giorno della festa di San Giovanni Battista. In quella data, quattro logge preesistenti di Londra e Westminster si riunirono presso la taverna “Goose and Gridiron” (L’Oca e la Graticola), situata nel sagrato della Cattedrale di St. Paul, e decisero di costituirsi in una nuova entità centralizzata: la Gran Loggia di Londra e Westminster. Questa organizzazione, nota informalmente come Premier Grand Lodge o “Gran Loggia dei Moderni”, rappresenta il germe da cui si svilupperà la massoneria istituzionale come la conosciamo oggi.
È fondamentale comprendere che questo evento non fu una creazione ex nihilo. Le logge esistevano da tempo, discendendo dalle antiche corporazioni di mestiere dei muratori e scalpellini medievali, la cosiddetta massoneria “operativa”. La novità del 1717 fu la formalizzazione di un processo di transizione già in atto: il passaggio da un’associazione di artigiani a una società filosofica e iniziatica, “speculativa” appunto, che accoglieva uomini non più legati al mestiere della costruzione ma interessati a un percorso di perfezionamento morale e intellettuale. Questo nuovo organismo abbracciò con entusiasmo gli ideali che stavano fiorendo nel clima dell’Illuminismo, come la libertà di pensiero, la tolleranza religiosa e la fratellanza universale.
La rapida crescita e l’elevazione del profilo della nuova Gran Loggia furono guidate da figure di notevole spessore intellettuale e sociale. Dopo i primi Gran Maestri di estrazione borghese come Anthony Sayer e George Payne, la guida passò a uomini come John Theophilus Desaguliers, un ecclesiastico anglicano e illustre scienziato, membro della prestigiosa Royal Society. Fu sotto il suo impulso che il pastore presbiteriano James Anderson venne incaricato di redigere le Constitutions of the Free-Masons, pubblicate nel 1723. Questo documento è di capitale importanza: sostituì le antiche regole manoscritte delle corporazioni operative con un corpo di leggi stampato e accessibile, che codificava i principi, i doveri (Charges) e i regolamenti della nuova massoneria speculativa, omettendo volutamente solo i rituali segreti. Le Costituzioni di Anderson posero le basi filosofiche per una fratellanza in cui uomini di diverse convinzioni potessero incontrarsi in armonia, ponendo l’accento sulla morale universale piuttosto che sui dogmi religiosi specifici.
Continue reading →Petrus in Urbe: analisi storica della presenza e del martirio di Pietro a Roma
Introduzione: una questione storica, non teologica
La questione della presenza e del martirio dell’apostolo Pietro a Roma rappresenta uno dei nodi storiografici più affascinanti e dibattuti delle origini cristiane. Per secoli, la discussione è stata inestricabilmente legata a controversie di natura teologica e ecclesiologica, in particolare riguardo al primato papale. Tuttavia, un’analisi storica rigorosa impone di scindere nettamente i due piani: l’indagine sulla permanenza e la morte di Pietro nella capitale dell’Impero è un problema che va affrontato con gli strumenti della critica storica, basandosi sulla valutazione delle fonti letterarie e dei dati archeologici, indipendentemente dalle sue successive implicazioni dottrinali. Il consenso raggiunto dalla storiografia moderna, che include studiosi di diverse confessioni e anche atei e agnostici, non si fonda su un atto di fede, ma su un’attenta ponderazione delle prove disponibili.
Questo articolo si propone di esaminare in modo compiuto le evidenze che sostengono la tesi, oggi largamente maggioritaria, secondo cui Pietro soggiornò, subì il martirio e fu sepolto a Roma. L’argomentazione centrale non si basa su una singola prova inconfutabile, ma sulla straordinaria convergenza di molteplici e indipendenti linee di testimonianze che, pur con diversi gradi di certezza, puntano tutte nella medesima direzione. Se prese singolarmente, molte di queste testimonianze possono apparire come meri indizi; tuttavia, quando vengono esaminate nel loro insieme e incrociate tra loro, si completano e si confermano reciprocamente, costruendo un caso di alta probabilità storica.
È fondamentale, fin da subito, chiarire una sfumatura fondamentale: affermare la presenza e il martirio di Pietro a Roma non significa sostenerne il ruolo di “fondatore” della comunità cristiana locale, nel senso di primo evangelizzatore. Le fonti storiche, sia cristiane che pagane, suggeriscono con forza l’esistenza di una fiorente comunità cristiana nella capitale ben prima del probabile arrivo dell’apostolo. Lo storico romano Svetonio, ad esempio, riporta che l’imperatore Claudio espulse da Roma gli ebrei attorno al 49 a causa di tumulti sorti “per istigazione di Cresto” (impulsore Chresto), un probabile riferimento a conflitti interni alle sinagoghe romane riguardo alla figura di Cristo. Questa notizia, corroborata dagli Atti degli Apostoli (18,2), dimostra l’esistenza di un nucleo cristiano a Roma già negli anni ’40 del I secolo. Inoltre, la stessa Lettera ai Romani di Paolo, scritta attorno al 57, si rivolge a una comunità già ben strutturata, la cui fede era “nota in tutto il mondo” (Rm 1,8), e nella quale Paolo stesso non si era ancora recato, in accordo con il suo principio di non edificare sul fondamento altrui (Rm 15,20). La presenza di Pietro a Roma, quindi, va collocata in una fase successiva, probabilmente negli ultimi anni della sua vita, e il suo ruolo fu quello di conferire autorità apostolica a una comunità già esistente, non di iniziarla.
Continue reading →The Paradoxical Structure of Existence di Frederick D. Wilhelmsen
Introduzione: riscoprire l’essere in un’epoca di crisi
Nel panorama della filosofia del XX secolo, poche opere riescono a coniugare con la stessa intensità rigore speculativo, passione didattica e una profonda consapevolezza della propria collocazione storica come The Paradoxical Structure of Existence di Frederick D. Wilhelmsen. La sua ripubblicazione, arricchita da una nuova e illuminante introduzione di James Lehrberger, non è un mero atto di archeologia intellettuale, ma un intervento quanto mai attuale nel dibattito contemporaneo. Il testo si presenta fin da subito come una risposta diretta a quella che Lehrberger, seguendo l’autore, definisce la “crisi della filosofia occidentale”. Questa crisi, maturata lungo trecento anni di pensiero moderno, è caratterizzata da un progressivo allontanamento dalla realtà e da un diniego sistematico dell’intelligibilità dell’essere. Il suo esito pratico è un mondo in cui le cose, e infine gli stessi esseri umani, vengono ridotti a “materia prima” da plasmare e dominare secondo la volontà di potenza umana, una traiettoria che, come la storia del XX secolo ha tragicamente dimostrato, ha portato a Passchendaele, Auschwitz e Hiroshima.
Al centro di questa imponente opera si colloca una tesi tanto audace quanto feconda: l’esistenza, l’atto di esistere (esse), possiede una struttura intrinsecamente paradossale e irriducibile a qualsiasi schema dialettico. Wilhelmsen stesso, nella sua introduzione, lancia la sfida con una provocazione che costituisce il cuore del suo argomento: “non solo l’esistenza manca di una struttura, ma l’esistenza stessa non esiste. Pertanto l’esistenza stessa non può essere affermata”. Questa affermazione non è un gioco di parole, ma il fondamento di una metafisica che intende trascendere la dialettica hegeliana non attraverso una sua confutazione, ma abbracciando, con spirito chestertoniano, la “tensione irrisolta” che caratterizza il paradosso. L’essere, per Wilhelmsen, non si lascia catturare nelle maglie del “sì” e del “no” concettuali, ma li trascende entrambi.
A rendere il volume un’esperienza unica contribuisce la sua origine, che Lehrberger opportunamente ricorda: il testo nasce dalle leggendarie lezioni universitarie che Wilhelmsen teneva all’Università di Dallas, affettuosamente soprannominate dagli studenti “Metafritz”. Questa genesi didattica si riflette in uno stile vibrante, a tratti poetico, ricco di analogie evocative e di una passione contagiosa.
The Paradoxical Structure of Existence non è dunque solo un trattato di metafisica tomista, ma un vero e proprio testamento filosofico, un invito a pensare l’essere non come un concetto astratto, ma come l’atto più intimo e drammatico della realtà.
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