Con L’anima di Traiano tra inferno e paradiso: Storia di una leggenda medievale (Carocci, 2024), Vincenzo Tedesco consegna alla storiografia un’opera di notevole spessore. Si tratta, infatti, della prima monografia completa che affronta, in una prospettiva di lunga durata, una delle leggende più tenaci e paradossali dell’immaginario europeo: la salvezza ultraterrena di un imperatore pagano, talvolta etichettato come persecutore, per intercessione di un papa (p. 9).
L’autore imposta la sua indagine con un’abile mossa narrativa che cattura immediatamente l’interesse del lettore. Invece di iniziare dagli albori altomedievali della credenza, Tedesco parte dalla sua fine, da un enigma microstorico racchiuso in due fascicoli processuali dell’inquisizione di Siena: nel 1574 un uomo viene accusato di aver negato la salvezza di Traiano, mentre nel 1607 un altro subisce la stessa sorte per averla affermata (p. 15). Questo punto di partenza non è un semplice aneddoto, ma la chiave di volta dell’intera architettura del volume. Trasforma quella che potrebbe essere una mera rassegna cronologica in un’avvincente investigazione storica sulla tensione tra fede e dubbio, ortodossia ed eresia. Comprendiamo fin dalle prime pagine che il viaggio attraverso nove secoli di agiografia, teologia e letteratura non è una semplice accumulazione di dati, ma la costruzione di un percorso che culminerà in un drammatico capovolgimento.
L’obiettivo dichiarato da Tedesco è ricostruire l’evoluzione di questa credenza non come una curiosità erudita, ma come un potente artefatto culturale che, come uno specchio, “riflette aspetti di tale portata” quali i mutevoli rapporti tra papato e impero, la definizione della giustizia e la complessa teologia della salvezza (p. 14). Il risultato è un’opera di storia culturale nel senso più ampio e profondo del termine.
Dalla storia al mito: la genesi di una credenza straordinaria
Nei primi due capitoli, Tedesco costruisce con meticolosa precisione la tensione fondamentale da cui scaturisce la leggenda. Da un lato, ci presenta il Traiano storico, l’optimus princeps celebrato dalla tradizione pagana (p. 19), la cui fama postuma fu cristallizzata nell’augurio senatoriale felicior Augusto, melior Traiano (p. 28). Dall’altro, documenta la parallela tradizione cristiana che, da Eusebio ad Agostino, canonizzò lo stesso imperatore come il “terzo persecutore” della Chiesa (p. 35), che invece fu un figlio della Gehenna agli occhi di alcuni scrittori cristiani come Facondo di Ermiane (p. 35).
È proprio per risolvere questa stridente dicotomia che emerge la leggenda. L’autore ne rintraccia la prima attestazione conosciuta nella Vita Gregorii redatta da un anonimo monaco di Whitby, in Inghilterra, all’inizio dell’VIII secolo (p. 55). La localizzazione, come sottolinea Tedesco, non è casuale, ma intimamente legata alla missione evangelizzatrice dello stesso Gregorio Magno in quelle terre. L’analisi della forma primigenia del miracolo è qui centrale: l’anima di Traiano, si legge, fu refrigeratam vel baptizatam (raffreddata o battezzata) dalle lacrime del papa (p. 57). Non si tratta ancora di un biglietto per il paradiso, ma di un refrigerium, un sollievo dai tormenti. Questa sottile ma vitale distinzione teologica, come dimostra l’autore, sarà il germe di secoli di successive elaborazioni. La struttura argomentativa di Tedesco rende evidente come la leggenda non sia nata nel vuoto, ma sia stata una risposta creativa e potente a un preciso problema culturale e ideologico. Gli agiografi di Gregorio Magno non stavano semplicemente celebrando il potere del loro santo; stavano compiendo una sofisticata operazione di appropriazione culturale. “Salvando” Traiano, essi affermavano implicitamente che anche il meglio che il mondo pagano avesse da offrire era incompleto e, in ultima analisi, dipendente dal potere di intercessione della Chiesa. La leggenda funziona così come un battesimo simbolico del passato imperiale di Roma, ponendolo sotto l’autorità della successione petrina.
L’ascesa celeste: l’evoluzione della leggenda tra teologia e letteratura
Se l’alto medioevo crea il mito, è nei secoli successivi che esso si evolve e si complica, un percorso che Tedesco delinea con precisione. Il punto di svolta, come illustrato nei capitoli tre e quattro, si concentra sulla rilettura di un singolo, potentissimo episodio: il gesto di giustizia di Traiano. La leggenda narra che, mentre l’imperatore era sul punto di partire per una campagna militare alla testa del suo esercito, fu fermato da una vedova che chiedeva giustizia per il figlio assassinato. Di fronte alla promessa di Traiano di occuparsene al suo ritorno, la donna chiese chi le avrebbe garantito equità se lui fosse morto in battaglia. Colpito nel profondo, l’imperatore fermò la legione e si assicurò che alla donna fosse resa giustizia immediatamente.
È proprio su questo atto che nel XII secolo si innesta una trasformazione decisiva. Pensatori come Pietro Abelardo e Giovanni di Salisbury spostano il baricentro del racconto dall’onnipotenza di papa Gregorio ai meriti di Traiano stesso (pp. 83-88). L’episodio della vedova non è più solo la scintilla che muove a compassione il papa, ma viene analizzato come prova di una virtù intrinseca e di un senso di equità così profondi, come sottolinea Abelardo (p. 85), da rendere l’imperatore pagano degno della considerazione divina e, in ultima analisi, della salvezza.
Questa nuova enfasi, tuttavia, creava un problema dottrinale ancora più acuto: come poteva un pagano, per quanto virtuoso, guadagnarsi la salvezza? La risposta, come dimostra Tedesco, fu una delle più affascinanti invenzioni della teologia scolastica: la teoria della resurrezione. Teologi del calibro di Guglielmo di Auxerre e Tommaso d’Aquino, per rendere la storia logicamente coerente con i dogmi, postularono che Traiano non fosse stato salvato da pagano. Piuttosto, le preghiere di Gregorio gli ottennero di tornare in vita, ricevere il battesimo e solo allora, morendo una seconda volta da cristiano, guadagnare il paradiso (pp. 98-106). L’evoluzione narrativa della leggenda rispecchia così perfettamente l’evoluzione dei metodi intellettuali medievali. Si passa da un racconto agiografico accettato per fede a un complesso problema teologico che esige una soluzione razionale.
L’apice culturale della leggenda viene raggiunto con Dante Alighieri, che nella Commedia colloca definitivamente Traiano nel cielo di Giove, tra le anime dei giusti (p. 124). Il poeta fiorentino non solo porta a compimento la tradizione, ma la trasfigura, usando l’imperatore come emblema dell’imperscrutabile giustizia divina, capace di salvare anche chi è al di fuori dei confini visibili della Chiesa. In parallelo, Tedesco documenta la capillare diffusione del tema nell’arte, distinguendo due filoni iconografici principali: quello secolare della “Giustizia di Traiano” e quello religioso dell'”Intercessione di Gregorio” (p. 150).
Il ritorno all’inferno: la condanna di un miracolo divenuto scomodo
Il capitolo finale del libro è un’analisi avvincente del declino e della caduta della leggenda, un processo che riporta l’indagine al suo punto di partenza a Siena (p. 15). Tedesco documenta le prime crepe nel consenso durante l’Umanesimo, quando un approccio filologico più rigoroso alle fonti antiche iniziò a far emergere le incongruenze della storia (p. 165).
Il colpo di grazia, tuttavia, arrivò nel XVI secolo. Nel clima infuocato della Riforma e della Controriforma, una credenza su un pagano salvato dall’inferno divenne una passività teologica, un esempio di “superstizione papista” facilmente attaccabile dai critici protestanti (p. 173). Tedesco identifica con precisione i protagonisti di questo smantellamento. Da un lato i teologi spagnoli come Domingo de Soto e Melchor Cano, che ne minarono le basi dottrinali (p. 174); dall’altro, e in modo decisivo, i cardinali della Curia romana Cesare Baronio e Roberto Bellarmino. La loro condanna, radicata in una nuova e agguerrita concezione della historia sacra, riclassificò una credenza vecchia di nove secoli come una semplice “favola” (p. 184).
In questa sezione, il contributo più originale di Tedesco è la dimostrazione di come si passò dal dibattito intellettuale alla censura istituzionale. Attraverso un’attenta analisi di documenti d’archivio, mostra come la Congregazione del Sant’Uffizio abbia attivamente soppresso la diffusione della leggenda (p. 181). La leggenda di Traiano fu quindi distrutta dalle stesse forze che un tempo l’avevano sostenuta e razionalizzata: la richiesta di coerenza storica e di rigore teologico. Il suo ciclo vitale, brillantemente tracciato nel volume, diventa così un perfetto caso di studio sull’evoluzione degli standard di prova e di verità nella cultura occidentale.
Valutazione critica: un’opera di rigore scientifico e buona leggibilità
In conclusione, L’anima di Traiano tra inferno e paradiso è un’opera di indubbio valore. Il rigore scientifico di Vincenzo Tedesco è evidente, testimoniato da una bibliografia vasta e internazionale (pp. 193-211) e da un uso attento delle fonti primarie, a cui, come promesso nell’introduzione, viene sempre dato il giusto peso (p. 13). La struttura del libro non è meramente cronologica ma profondamente analitica, con ogni capitolo che si fonda logicamente sul precedente per costruire un’argomentazione solida e convincente.
Tuttavia, ciò che rende questo saggio particolarmente apprezzabile è la sua prosa chiara e accessibile. Tedesco riesce a combinare la precisione dell’accademico con la capacità di un buon narratore. Spiega dibattiti teologici complessi e intricate tradizioni agiografiche con una lucidità che rende il volume fruibile a un pubblico colto ma non specialistico, senza mai sacrificare la profondità dell’analisi. L’impostazione del libro come un’indagine, che parte da un enigma per svelarne la storia millenaria (p. 15), conferisce al testo un ritmo che mantiene vivo l’interesse dalla prima all’ultima pagina.
Quest’opera si propone come un nuovo studio di riferimento sul suo soggetto. È una lettura importante per medievisti, teologi e dantisti, ma anche un percorso interessante per chiunque sia interessato a come nascono, si evolvono e muoiono le idee e le credenze che hanno plasmato la memoria culturale dell’Europa. Tedesco non ha solo fatto luce su una singola, per quanto affascinante, leggenda; l’ha usata come una lente per osservare un millennio di storia intellettuale occidentale.
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