Introduzione: una dottrina fondamentale e le sue radici storiche
La dottrina della creazione dal nulla, o creatio ex nihilo, rappresenta uno dei pilastri fondamentali della teologia cristiana, ebraica e islamica. Essa proclama, nella sua forma più acuta, l’assoluta incondizionatezza dell’atto creativo di Dio e designa la Sua onnipotenza come unica causa dell’esistenza del mondo. L’idea che Dio non si sia servito di una materia preesistente, ma abbia tratto l’universo dall’inesistenza assoluta, definisce in modo radicale la trascendenza e la libertà del Creatore. Per secoli, si è dato per scontato che questa dottrina fosse un’eredità diretta e pienamente formulata del giudaismo, già presente nell’Antico Testamento e semplicemente accolta dal cristianesimo primitivo.
Tuttavia, un’analisi storica rigorosa delle fonti, come quella condotta in modo esemplare dallo studioso Gerhard May nel suo volume Creatio Ex Nihilo, rivela una realtà molto più complessa e affascinante. Questo articolo, basandosi sulla sua meticolosa ricerca, si propone di tracciare la vera genesi di questa dottrina, dimostrando come essa non fu un dogma ereditato, ma una conquista teologica del II secolo d.C., forgiata nel crogiolo di una intensa e duplice controversia: quella con la cosmologia della filosofia greca e quella con le speculazioni dello gnosticismo cristiano . Il percorso che porta alla creatio ex nihilo è un viaggio nel cuore del pensiero paleocristiano, un processo in cui la fede biblica, confrontandosi con le grandi questioni ontologiche del suo tempo, giunse a una nuova e più profonda consapevolezza di sé.
1. Il panorama prima della crisi gnostica: giudaismo ellenistico e cristianesimo primitivo
Per comprendere la portata rivoluzionaria della formulazione della creatio ex nihilo nel II secolo, è indispensabile analizzare il contesto intellettuale precedente. Fino alla fine del I secolo e agli inizi del II, la fede nella creazione del mondo da parte di Dio era un presupposto assiomatico e indiscusso sia per il giudaismo che per il cristianesimo nascente . Tuttavia, una riflessione specifica e tecnica sul “come” di questa creazione, e in particolare sulla questione di un’eventuale materia primordiale, non era ancora diventata un problema teologico centrale.
La concezione giudaico-ellenistica: tra fede biblica e filosofia greca
La teologia giudaico-ellenistica, pur entrando in dialogo con il pensiero greco, non sviluppò una critica fondamentale della sua ontologia e cosmologia. Il modello dominante, derivato principalmente dal Timeo di Platone, prevedeva che un Demiurgo divino avesse dato forma e ordine a una materia preesistente, informe e caotica. Questa concezione poteva essere integrata senza apparente contraddizione nella fede biblica. Un esempio lampante si trova nel Libro della Sapienza, dove si afferma che la mano onnipotente di Dio “creò il mondo da una materia senza forma” (Sapienza 11,17), un’affermazione che non sembra percepire alcun limite all’onnipotenza divina nel postulare un substrato materiale.
Anche il passo di 2 Maccabei 7,28, tradizionalmente considerato la prima e più classica attestazione della creatio ex nihilo, deve essere letto con cautela. Il contesto non è una disquisizione ontologica, ma un’esortazione parenetica. La madre dei sette martiri, per incoraggiare il figlio alla fortezza, lo invita a guardare il cielo e la terra e a riconoscere che “Dio li ha fatti dal non-essere” (οὐκ ἐξ ὄντων ἐποίησεν αὐτὰ ὁ θεός) . L’obiettivo è esaltare la potenza di Dio, capace di trarre la vita dalla morte (la risurrezione) così come ha tratto il mondo dall’inesistenza, ma senza prendere una posizione tecnica sulla questione della materia .
Come evidenziato da May, la formula “dal non-essere” non implicava necessariamente una creazione dal nulla assoluto. Un parallelo illuminante si trova in Senofonte, che usa un’espressione quasi identica per descrivere i genitori che “fanno nascere i figli dal non-essere” . È un modo di dire comune, non filosofico, per indicare l’emergere di qualcosa di nuovo che prima non c’era, senza specificare le condizioni del suo apparire. Per il pensiero greco, a partire da Parmenide, vigeva l’assioma ex nihilo nihil fit (“dal nulla non si produce nulla”). Pertanto, una formula come quella di 2 Maccabei deve essere interpretata come una dichiarazione teologica sulla sovranità di Dio, non come una tesi ontologica formulata in opposizione al pensiero greco. Solo quando una tale formula si presenta in un contesto di chiara antitesi al modello della formazione del mondo, essa può essere considerata una testimonianza della dottrina della creazione incondizionata.
Il caso emblematico di Filone di Alessandria
La figura che meglio illustra questa complessa interazione è Filone di Alessandria. Pur possedendo una profonda cultura filosofica, Filone non arrivò a formulare una dottrina rigorosa della creatio ex nihilo . Nel suo De opificio mundi, egli adotta lo schema stoico-platonico di un principio attivo (il Nous-Dio) e di un principio passivo (la materia informe), che Dio ordina spinto dalla sua bontà, riecheggiando il Timeo di Platone . La materia è descritta con tratti negativi, come priva di qualità, anima e movimento, tanto che Filone afferma che Dio non la tocca direttamente, ma si serve delle sue potenze incorporee, le Idee. È difficile immaginare che Filone attribuisse a Dio l’origine di una tale sostanza.
Anche quando Filone sembra avvicinarsi all’idea di una creazione assoluta, come nel De somniis, dove distingue Dio come “creatore” (κτίστης) di ciò che non esisteva, e non solo come “artefice” (δημιουργός), la sua riflessione non si spinge fino a includere in questo atto creativo la materia. L’intento è piuttosto quello di sottolineare che Dio non è solo un esecutore, ma il pianificatore e l’ideatore del cosmo, colui che ha creato le Idee stesse come suoi pensieri, integrandole nel Logos.
Le sue affermazioni sulla creazione “dal non-essere” vanno lette, ancora una volta, come l’espressione di un inizio temporale del mondo, in opposizione alla dottrina dell’eternità del cosmo, ma non necessariamente all’eternità della materia. L’orizzonte di pensiero di Filone rimane profondamente radicato nell’ontologia greca, che egli cerca di armonizzare con la fede biblica, senza percepire la necessità di una rottura radicale sul tema dell’origine della materia.
La fede nella creazione nel cristianesimo primitivo
Il cristianesimo primitivo eredita dal giudaismo questa fede fondamentale in Dio Creatore. I testi del Nuovo Testamento, pur affermando con forza l’onnipotenza di Dio, non si pongono il problema del “come” della creazione in termini filosofici. Passi come Romani 4,17 e Ebrei 11,3 si muovono all’interno del linguaggio e delle concezioni giudaico-ellenistiche già viste. L’enfasi è posta sulla dimensione storico-salvifica della creazione: essa è il presupposto e l’inizio della storia della salvezza, che culmina in Cristo. L’evento della salvezza stesso è visto come un nuovo atto creativo di Dio.
La novità più significativa è l’introduzione di Cristo come mediatore preesistente della creazione (ad es. in Colossesi 1,16). Questa cristologia cosmica, che si sviluppa a partire dalla fede nella sua risurrezione e ascensione, serve a stabilire il primato universale di Cristo su tutte le potenze e sull’intera creazione, ma non entra nel merito della questione ontologica della materia.
Anche la letteratura cristiana immediatamente successiva, come la Prima Lettera di Clemente o il Pastore di Erma, pur utilizzando formule tradizionali come “creare tutto dal nulla”, non mostra una consapevolezza del problema filosofico che emergerà di lì a poco. Per tutta questa fase, la fede che Dio avesse creato il cielo e la terra era un dato così evidente da non richiedere una giustificazione ontologica. La situazione cambiò drasticamente quando la teologia cristiana fu costretta a confrontarsi con una visione del mondo radicalmente alternativa: quella dello gnosticismo.
2. La sfida dello gnosticismo: la creazione come problema teologico
Fu all’interno dello gnosticismo cristiano, nel II secolo, che la questione dell’origine del mondo divenne per la prima volta un problema teologico di bruciante attualità e di massima importanza teologica . Il motore di questa nuova e pressante interrogazione non fu un interesse speculativo fine a se stesso, ma un’esperienza esistenziale radicalmente diversa da quella della nascente ortodossia: la percezione del cosmo come un luogo intrinsecamente malvagio, fallace e ostile, una prigione da cui l’anima spirituale deve essere liberata.
La teodicea gnostica e l’origine del mondo
Questa valutazione profondamente negativa del mondo rendeva impossibile attribuirne l’origine a un atto creativo del Dio vero, buono e supremo. Di conseguenza, la domanda sull’origine del cosmo si trasformò in un problema di teodicea: come si spiega l’esistenza del male e di un mondo imperfetto se il principio primo è la perfezione e la bontà?
La risposta gnostica si snodò attraverso complesse narrazioni mitologiche. Il cosmo non è opera del Dio supremo, ma di potenze inferiori: angeli, arconti o un demiurgo ignorante e arrogante, che non conosceva il vero Dio o che si era ribellato a Lui. All’interno di questo quadro generale, la questione della materia veniva affrontata in modi diversi. Alcuni sistemi gnostici postulavano un principio materiale informe ed eterno, come il caos o le tenebre. Tuttavia, i teologi gnostici più sofisticati, come Basilide e i Valentiniani, si sforzarono di evitare un dualismo di principi eterno e irriducibile. Essi compresero la materia non come un principio originario, ma come qualcosa di derivato, un prodotto secondario di un “incidente” o di una “caduta” avvenuta nel mondo spirituale prima della creazione del cosmo. Per loro, la materia e il mondo visibile non possedevano una piena realtà, ma erano il risultato di una perturbazione dell’ordine divino, destinata a essere dissolta alla fine del processo di salvezza.
Questo approccio portò gli gnostici a rifiutare non solo la dottrina dell’eternità del mondo, ma anche quella dell’eternità della materia. La loro preoccupazione centrale, tuttavia, rimaneva soteriologica: la conoscenza (gnosi) dell’origine del mondo serviva unicamente come strumento per il suo superamento e per la liberazione dell’elemento spirituale divino imprigionato in esso.
Marcione: un dualismo radicale e la materia come male
Una posizione peculiare è quella di Marcione, che May colloca ai margini del movimento gnostico ma che ne condivide il radicale anti-cosmismo. La teologia di Marcione è costruita su un dualismo netto e senza compromessi tra due dèi: il Dio “straniero” e buono rivelato da Gesù, e il Dio “giusto” ma inferiore dell’Antico Testamento, il creatore del mondo. A differenza degli gnostici mitologici, Marcione non spiega l’esistenza del demiurgo con una caduta dal mondo superiore; i due dèi esistono dall’eternità, senza alcuna connessione ontologica.
Per spiegare l’imperfezione del mondo, Marcione ricorre a un terzo principio: una materia eterna, preesistente e intrinsecamente malvagia. Il demiurgo, pur essendo “giusto”, ha creato un mondo imperfetto perché ha dovuto utilizzare questo materiale malvagio. In questo, Marcione adotta e adatta il modello cosmologico platonico, ma lo carica di una valenza etica negativa. May suggerisce che Marcione, uomo di notevole cultura, abbia derivato questa concezione non tanto dagli gnostici, quanto da una sua rielaborazione critica del platonismo contemporaneo, utilizzata per sostenere la sua radicale svalutazione del Dio creatore e della sua opera. La sua dottrina, con la sua chiara affermazione di tre principi (il Dio buono, il demiurgo e la materia), rappresentò una sfida diretta e frontale al monoteismo cristiano e costrinse la teologia ecclesiastica a una reazione decisa.
Basilide: la prima formulazione della creatio ex nihilo
Il sistema di Basilide, come riportato da Ippolito, rappresenta uno dei vertici speculativi del pensiero gnostico e, paradossalmente, il luogo della prima formulazione esplicita della creatio ex nihilo nel pensiero cristiano. Basilide parte da un “Dio non-esistente” (οὐκ ὢν θεός), un’espressione di teologia negativa che lo pone al di là di ogni categoria dell’essere e del pensiero. Questo Dio trascendente, senza bisogno di materia preesistente o di emanazioni che ne diminuiscano l’essere, crea il mondo dal nulla assoluto.
L’atto creativo non è né una probolé (emanazione), che Basilide rifiuta esplicitamente per non dividere la sostanza divina, né una plasmazione artigianale. Basilide critica esplicitamente quest’ultima idea come un antropomorfismo indegno di Dio: pensare che Dio abbia bisogno di materia come un artigiano umano ne limiterebbe l’onnipotenza . La creazione avviene invece attraverso un unico, ineffabile atto con cui Dio “getta” un “seme del mondo” (πανσπερμία), che contiene in potenza tutta la realtà futura. È in questo contesto che Basilide afferma che Dio “ha fatto il mondo non-esistente dal non-esistente”.
Come spiegare questa sorprendente anticipazione della dottrina ortodossa? May la riconduce a una sintesi unica nel pensiero di Basilide. A differenza degli altri gnostici, egli mantiene l’identità tra il Dio supremo e il Creatore (gli arconti che governano il mondo sono essi stessi creature derivate dal seme primordiale). Allo stesso tempo, radicalizza in senso gnostico la trascendenza di questo Dio. Un Dio così ineffabile non può essere pensato attraverso le analogie del mondo; la sua azione creativa deve essere altrettanto ineffabile e assoluta, descrivibile solo come una creazione dal nulla. Sebbene il suo sistema non abbia avuto un’influenza diretta sul pensiero cristiano successivo, la sua speculazione dimostra che l’idea della creatio ex nihilo poteva emergere come una necessità logica da una riflessione radicale sull’onnipotenza e la trascendenza divine .
I Valentiniani: la materia come prodotto della caduta
Il sistema valentiniano, il più influente e diffuso dello gnosticismo, offre una soluzione diversa al problema dell’origine della materia. Invece di una creazione dal nulla, i Valentiniani sviluppano un complesso mito di emanazione e caduta. La materia non è un principio eterno, ma ha origine da un evento drammatico all’interno del mondo divino, il Pleroma: la passione e la caduta dell’eone Sophia.
Nel suo desiderio illegittimo di conoscere il Padre, Sophia produce una passione (o un “aborto” informe) che viene espulsa dal Pleroma. Questa sostanza, descritta con i predicati platonici della materia informe (ἀμόρφωτος, ἀνείδεος) , diventa il substrato da cui nascerà il mondo inferiore. Il processo successivo è una serie di “formazioni”. Questa sostanza primordiale viene prima trasformata in materia psichica e ilica (materiale). Successivamente, il demiurgo, egli stesso una creatura formata dalla sostanza psichica, utilizza questo materiale per plasmare il cosmo visibile, credendo di agire autonomamente ma essendo in realtà uno strumento inconsapevole di una volontà superiore (quella di Sophia e del Salvatore).
L’esegesi valentiniana di Genesi 1,1-4, come riportata negli Excerpta ex Theodoto, è emblematica di questo approccio. Essi interpretano il racconto biblico della creazione alla luce del loro mito, vedendo nella terra “invisibile e senza forma” una descrizione della materia ilica incorporea e nel demiurgo l’artefice che separa la luce dalle tenebre (la sostanza psichica da quella ilica) . Pur postulando un’origine “derivata” della materia, i Valentiniani rimangono saldamente all’interno del paradigma della “formazione di un materiale dato”. La loro cosmogonia è una rielaborazione mitologica del modello platonico, inaccettabile per la teologia ecclesiastica.
In conclusione, la speculazione gnostica, pur nelle sue diverse forme, pose la questione dell’origine del mondo al centro del dibattito teologico del II secolo. Costrinse il pensiero cristiano a interrogarsi sulla natura della creazione, sull’origine della materia e sul rapporto tra il Dio buono e il mondo imperfetto, spingendo così la nascente ortodossia a definire la propria posizione in modo più chiaro e rigoroso.
3. La risposta della Chiesa: tra adesione al platonismo e nuove vie teologiche
Di fronte alla sfida posta dallo gnosticismo e alla necessità di articolare la fede cristiana in un dialogo critico con la cultura ellenistica, i teologi della Chiesa della metà del II secolo percorsero strade diverse. In questa fase, che precede l’affermazione definitiva della creatio ex nihilo, si osserva una forte e persistente influenza del modello cosmologico platonico, anche in autori che pure difendevano strenuamente la fede “ortodossa”.
Giustino Martire e l’accettazione del modello di formazione del mondo
La figura più rappresentativa di questo periodo è Giustino Martire. Presentando il cristianesimo come la “vera filosofia”, Giustino si confrontò direttamente con il pensiero greco, in particolare con il platonismo. Tuttavia, come evidenziato da May, nella sua dottrina della creazione egli rimase sorprendentemente vicino al modello platonico. In più occasioni, Giustino afferma che Dio, nella sua bontà, “ha creato ogni cosa da una materia senza forma”. Egli non solo non vede contraddizione tra questa affermazione e la fede biblica, ma stabilisce un parallelo esplicito tra la cosmogonia di Mosè e quella del Timeo di Platone, sostenendo che quest’ultimo si sia ispirato al primo. Per Giustino, Genesi 1,2 descrive appunto questa materia primordiale, informe e preesistente, che Dio ha poi ordinato tramite il Logos.
May sottolinea un punto fondamentale: non c’è alcuna prova che Giustino intendesse questa materia come a sua volta creata da Dio. Se avesse voluto sostenere la creatio ex nihilo in senso stretto, avrebbe certamente evidenziato questo elemento di superiorità della dottrina cristiana su quella platonica, come invece fa su altre questioni. Il fatto che non lo faccia indica che, per lui, l’idea di una creazione come formazione di un substrato dato era un presupposto talmente ovvio da non costituire un problema teologico .
Ciononostante, il pensiero di Giustino è attraversato da una tensione irrisolta. Se da un lato la sua cosmologia è platonica, dall’altro la sua teologia è permeata dalla concezione biblica di un Dio onnipotente la cui volontà è sovrana e senza limiti. Nel Dialogo con Trifone, egli argomenta che non possono esistere molteplici principi “non generati” (ἀγέννητοι), perché solo Dio possiede questo attributo in modo esclusivo. La conseguenza logica di questo monoteismo radicale sarebbe la negazione dell’eternità della materia, ma Giustino non compie questo passo.
Questa contraddizione è rivelatrice. Da un lato, la sua teologia platonizzante lo porta ad accettare il modello della formazione del mondo. Dall’altro, la sua fede cristiana lo spinge ad affermare con forza l’onnipotenza assoluta di Dio, specialmente quando parla dell’incarnazione e della risurrezione. Per Giustino, “le cose impossibili per gli uomini, sono possibili per Dio” (Luca 18,27) . La volontà divina è sovrana e può compiere l’impossibile. Questa concezione dinamica della potenza divina, secondo May, spinge oggettivamente verso la creatio ex nihilo, anche se Giustino non compie il passo finale. Egli rappresenta quindi una fase di transizione davvero fondamentale, in cui la teologia cristiana inizia a percepire l’inadeguatezza del modello platonico senza però aver ancora formulato l’alternativa in modo esplicito .
Atenagora ed Ermogene: il persistere del paradigma platonico
Questa adesione al modello della formazione del mondo è ancora più evidente in altri autori contemporanei. Atenagora di Atene, nella sua Supplica per i Cristiani, descrive la creazione in termini puramente platonici. Il Logos, in quanto Nous di Dio e contenitore delle Idee, ordina e dà forma a una materia caotica e preesistente, la cui esistenza è data per scontata . Atenagora paragona l’azione divina a quella di un vasaio che plasma l’argilla, un’immagine che presuppone un materiale su cui lavorare.
Ancora più radicale è la posizione di Ermogene, un pensatore cristiano della fine del II secolo contro cui scrissero sia Teofilo che Tertulliano. Per spiegare l’origine del male senza ricorrere al dualismo gnostico, Ermogene identifica la materia eterna e non creata come la sua unica fonte. Egli argomenta che Dio non poteva creare il mondo né da se stesso (perché è immutabile) né dal nulla (perché, essendo buono, avrebbe creato solo il bene, lasciando il male inspiegato). L’unica possibilità rimasta è che abbia creato il mondo da “qualcosa”, cioè dalla materia preesistente.
Pur affermando la signoria di Dio su di essa, Ermogene eleva la materia a principio co-eterno, seppur inferiore, da cui derivano il disordine e il male che Dio, nel suo atto creativo, può solo limitare e ordinare, ma non eliminare del tutto. La sua dottrina rappresenta il tentativo più sistematico di fondere la fede cristiana con la cosmologia del platonismo medio, ma proprio per questo fu percepita come una minaccia intollerabile dalla teologia della Chiesa, che stava consolidando la propria posizione monoteista contro ogni forma di dualismo.
La persistenza di queste concezioni in autori come Giustino, Atenagora ed Ermogene dimostra, secondo l’analisi di May, quanto fosse difficile per il pensiero cristiano, una volta entrato in dialogo con la filosofia, liberarsi dal paradigma della formazione del mondo. La creatio ex nihilo non fu una conclusione ovvia, ma richiese una rottura consapevole con le categorie ontologiche dominanti, una rottura che si sarebbe consumata solo nella generazione successiva, spinta dalla necessità di una polemica sempre più serrata contro gnostici ed eretici “platonizzanti”.
4. La svolta teologica: l’affermazione della dottrina ecclesiastica della creatio ex nihilo
La seconda metà del II secolo segna un punto di svolta decisivo nella storia della dottrina della creazione. In un clima di crescente polemica contro lo gnosticismo e di un confronto sempre più critico con la filosofia, vista ormai come la fonte degli errori ereticali , i teologi della Chiesa giunsero a formulare in modo esplicito e argomentato la dottrina della creatio ex nihilo. Questo sviluppo, come ricostruito da Gerhard May, fu il risultato di una nuova consapevolezza teologica: per salvaguardare l’assoluta onnipotenza, libertà e unicità di Dio, era necessario affermare che Egli avesse creato non solo il cosmo, ma anche la materia stessa.
Taziano: la prima negazione esplicita dell’eternità della materia
Il primo passo fondamentale in questa direzione fu compiuto da Taziano il Siro, discepolo di Giustino. Pur partendo dalle stesse premesse del suo maestro, Taziano radicalizzò la critica alla filosofia greca e, di conseguenza, alla sua cosmologia . Nella sua Orazione ai Greci, egli presenta una visione della creazione che rompe nettamente con il platonismo di Giustino.
Taziano sostiene che la materia non può essere, come Dio, “senza inizio” (ἄναρχος). Se lo fosse, essendo anch’essa un principio non originato, sarebbe uguale in potenza a Dio, il che minerebbe la “monarchia” divina. Pertanto, egli conclude, la materia è “generata e prodotta (προβεβλημένη) non da un altro, ma solo dal Demiurgo di tutte le cose”. Con questa affermazione, Taziano diventa il primo teologo non gnostico a noi noto a sostenere esplicitamente che la materia è un prodotto di Dio.
Secondo May, questa conclusione deriva sia da una maggiore coerenza teologica nel portare alle estreme conseguenze il monoteismo radicale già presente in Giustino, sia dalla necessità di confutare le dottrine dualistiche, in particolare quella di Marcione, che postulava la materia come un principio eterno e malvagio . È significativo che Taziano utilizzi il verbo probállesthai, tipico del linguaggio emanatista valentiniano, ma lo applichi alla produzione della materia da parte di Dio, dimostrando come la polemica anti-gnostica abbia plasmato anche il suo vocabolario. A Taziano, tuttavia, manca ancora la formula classica “creazione dal nulla”; egli compie il passo concettuale (la materia è creata), ma non utilizza ancora la terminologia che si imporrà di lì a poco .
Teofilo di Antiochia: la formulazione sistematica
Fu Teofilo di Antiochia, di poco posteriore a Taziano, a fornire la prima formulazione sistematica e terminologicamente precisa della creatio ex nihilo all’interno della teologia ecclesiastica. Nel suo secondo libro Ad Autolico, egli offre il più antico commento continuo di un Padre della Chiesa ai primi capitoli della Genesi . Qui, Teofilo utilizza una terminologia ormai consolidata e inequivocabile: “Dio ha fatto tutte le cose dal nulla all’essere” (ἐξ οὐκ ὄντων εἰς τὸ εἶναι) .
La sua argomentazione contro il modello platonico della formazione del mondo, probabilmente affinata nella sua perduta opera contro Ermogene, si basa su tre pilastri che diventeranno classici:
- L’argomento della monarchia: Se la materia fosse co-eterna a Dio, Egli non sarebbe più l’unico principio e il creatore di tutto.
- L’argomento della natura divina: Dio è non generato e quindi immutabile. Se anche la materia fosse non generata, sarebbe anch’essa immutabile e quindi simile a Dio, il che è impossibile .
- L’argomento della potenza divina: Non vi sarebbe nulla di straordinario se Dio avesse semplicemente dato forma a una materia preesistente, come un artigiano umano. La vera potenza di Dio (ἡ ὑπεροχὴ τῆς δυνάμεως τοῦ θεοῦ) si manifesta proprio nel fatto che Egli crea “dal nulla ciò che vuole e come vuole” .
Con Teofilo, la dottrina della creatio ex nihilo viene collegata direttamente alla volontà sovrana di Dio come unica causa della creazione, superando definitivamente i limiti del demiurgo platonico. La sua opera segna l’ingresso di questa dottrina, in forma matura e argomentata, nel patrimonio della teologia della Chiesa.
Ireneo di Lione: la creazione come primo atto della storia della salvezza
La sintesi più grandiosa e teologicamente più ricca di questo sviluppo si trova in Ireneo di Lione. La sua monumentale opera Contro le eresie integra la dottrina della creazione in una visione complessiva della storia della salvezza, facendone il primo e fondamentale atto dell’economia divina. Per Ireneo, la creazione non è un evento isolato, ma l’inizio di un processo che, attraverso l’intera storia biblica, culmina nell’incarnazione del Logos per la salvezza dell’uomo.
Nel suo confronto con gli gnostici, Ireneo rifiuta ogni forma di dualismo o di intermediazione nella creazione. Dio ha creato tutto “liberamente e come ha voluto”, senza l’aiuto di angeli o di altre potenze. Egli utilizza le sue “due mani”, il Figlio (Logos) e lo Spirito (Sapienza), per compiere la sua opera.
Le sue formulazioni sono ancora più radicali di quelle di Teofilo. Contro la dottrina valentiniana che vedeva il mondo come copia di un modello superiore (il Pleroma), Ireneo afferma che Dio non ha bisogno di modelli esterni, ma ha tratto “da se stesso la sostanza delle creature, il modello delle cose fatte e la forma” . Questo non implica un’emanazione, ma sottolinea l’assoluta sovranità di Dio come unica fonte di ogni aspetto della realtà. In una formula ancora più audace, Ireneo dichiara che la “volontà di Dio è la sostanza di tutte le cose” (est substantia omnium voluntas eius) , significando che la sua libera decisione è l’unico fondamento dell’esistenza, senza bisogno di alcun substrato materiale.
Ireneo riprende l’argomento di Teofilo contro l’analogia dell’artigiano: la superiorità di Dio sull’uomo sta proprio nel fatto che Egli produce anche la materia stessa della sua creazione. Egli fonda questa dottrina non solo su argomenti razionali, ma soprattutto sulla testimonianza concorde delle Scritture (Antico e Nuovo Testamento) e sulla tradizione della Chiesa, citando il Vangelo di Giovanni, il Pastore di Erma e la Prima Lettera di Clemente per dimostrare l’unità della fede in un unico Dio creatore .
Per Ireneo, la creazione è un atto contingente, frutto della bontà di Dio che vuole avere qualcuno a cui elargire i suoi benefici. L’intero processo, dalla creazione alla redenzione, è un’opera della libera e sovrana volontà di Dio .
Grazie all’opera di questi teologi, e in particolare alla sintesi di Ireneo, la dottrina della creatio ex nihilo si impose rapidamente nella Chiesa. Già all’inizio del III secolo, autori come Tertulliano e Ippolito la consideravano un dato acquisito e fondamentale della fede cristiana, mentre Origene la poneva a fondamento della sua teologia, meravigliandosi che uomini illustri avessero potuto pensare diversamente. La controversia del II secolo si era conclusa con una vittoria decisiva per una concezione della creazione che esaltava al massimo grado la libertà e l’onnipotenza del Dio biblico.
5. Conclusione: la creatio ex nihilo come conquista teologica
Il percorso storico ricostruito da Gerhard May dimostra in modo convincente che la dottrina della creatio ex nihilo non fu un semplice dato ereditato dal passato, ma una complessa e sofferta conquista del pensiero cristiano. Essa emerse come la risposta teologicamente più coerente alla duplice sfida posta dalla filosofia greca e dallo gnosticismo.
Di fronte al modello platonico di un demiurgo che si limita a ordinare una materia eterna, i Padri della Chiesa del II secolo compresero che tale visione limitava l’onnipotenza e la libertà di Dio, riducendolo al rango di un artigiano. Di fronte alle cosmogonie gnostiche, che spiegavano l’origine del mondo attraverso miti di caduta e divisioni nel mondo divino, essi riaffermarono l’unità di Dio e la bontà fondamentale della sua creazione.
La formulazione della creatio ex nihilo permise di risolvere queste tensioni in un unico, potente enunciato: Dio è l’unica causa e l’unico principio di tutto ciò che esiste. Non è vincolato da alcuna materia preesistente né da alcun modello esterno. La sua volontà libera e buona è il solo fondamento della realtà. Questa dottrina, sviluppata da pensatori come Taziano, Teofilo e Ireneo, non fu solo una tesi filosofica, ma divenne l’espressione più profonda della fede in un Dio che non è un principio astratto e immutabile, ma una Persona libera che agisce nella storia, a partire dal primo, sovrano atto di trarre il mondo dal nulla. La sua nascita segna un momento decisivo nella storia del pensiero occidentale, in cui la fede cristiana, nel definire se stessa contro le altre visioni del mondo, forgiò una delle sue idee più originali e durature.
Bibliografia
May, G. (2004) Creatio Ex Nihilo: The Doctrine of ‘Creation out of Nothing’ in Early Christian Thought. Translated by A. S. Worrall. London and New York: T&T Clark International.